Presentazione dell'Archivio 

Non sanz droict
Non sanz droict
Motto delle armi di John Shakespeare di Stratford-on-Avon, padre di William. 

De facto e de jure, per la nostra cultura, per la pubblica opinione, per la grande maggioranza degli stessi psicanalisti e per gli aspiranti tali, la psicanalisi è una psicoterapia e dunque – dopo l’entrata in vigore della legge 56 del 18 febbraio 1989 (legge Ossicini) – una professione sanitaria giuridicamente regolamentata che si può esercitare ottenendo il titolo di “psicoterapeuta a orientamento (o indirizzo) psicanalitico” a conclusione di un iter universitario e di una formazione in una scuola di specializzazione in psicoterapia riconosciuta dal MIUR.
Qualunque discorso sulla psicanalisi oggi, quanto meno in Italia, non può fare a meno d’iniziare da questa constatazione.
Non moltissimo tempo fa ci fu tuttavia un’“altra” psicanalisi, completamente estranea ad ogni finalità o intento psicoterapeutici, detta da Freud “laica”, la Laienanalyse. Ma se si cerca su un qualsiasi motore di ricerca la voce “psicanalisi laica”, tutto ciò che troviamo è una paginetta di Wikipedia che inizia con questa definizione: «Con il termine psicanalisi laica, o più semplicemente analisi laica, si intende la psicanalisi condotta da non medici o non psicologi»[1].
Per un vastissimo pubblico completamente ignaro della storia dell’analisi laica, il senso di una simile definizione (dove l’analista laico è preceduto da un non- come se non avesse altro statuto che privativo rispetto al medico o allo psicologo [2]) tende inevitabilmente a ridursi a: 

Psicanalisi fornita da qualcuno senza alcuna formazione [che] non ha esperienza, supervisione clinica o tutoraggio per sviluppare abilità e conoscere l’etica della pratica. L’analisi laica […] comporta una serie di preoccupazioni, poiché i professionisti qualificati sostengono che è necessaria una vasta esperienza supervisionata per assistere i pazienti in modo efficace e appropriato [3].

Fuor di perifrasi, è la definizione del perfetto incompetente; e poiché questo qualcuno pratica la psicanalisi con dei “pazienti” senza averne i titoli, la sua incompetenza diventa ciarlataneria e si configura come un reato [4].   
Di conseguenza, la pagina di Wikipedia avverte: «In Italia è considerato illegale praticare la psicanalisi se non si è iscritti all’albo dei medici o degli psicologi, in quanto la psicanalisi è considerata psicoterapia, quindi praticabile solo da medici o psicologi». 
Tutto ciò per l’“utenza” è talmente logico, naturale, semplice, indiscutibile, da ridursi a un vero e proprio truismo.
Fin dal 1926 Freud aveva ben chiara questa situazione:  

I nervosi sono dei malati, i laici non sono dei medici, la psicanalisi è un procedimento per la guarigione o per l’attenuazione dei dolori nervosi, tutti i trattamenti di tal genere sono riservati ai medici; di conseguenza, non è permesso che dei laici esercitino l’analisi sui soggetti nervosi, e qualora ciò avvenga, può essere punito. Di fronte a una situazione così semplice, non si osa neppure occuparsi della questione concernente l’analisi laica [5].

In effetti, dove sono oggi gli analisti laici?
A rispondere del loro atto come di un reato di abuso di professione nelle aule dei tribunali. Proprio per questo Freud, che aveva scritto Die Frage der Laienanalyse per difendere dal reato di abuso di professione un analista non medico (fermamente dissuaso dall’intraprendere gli studi di medicina per non buttar via il suo tempo), si affretta ad aggiungere: 

Tuttavia, vi sono alcune complicazioni [...] che richiedono certamente considerazione. Può darsi forse che i malati non siano, in questo caso, come gli altri malati, che i laici non siano propriamente laici e che i medici non offrano ciò che ci si potrebbe aspettare dai medici e su cui costoro fondano le loro prerogative [6].

È appunto perché le cose non sono come sembrano, che i documenti finora raccolti in questo Archivio della questione dell’analisi laica (o, più brevemente, Archivio dell’analisi laica) – per la maggior parte ormai introvabili o di difficile reperibilità (come se della storia dell’analisi laica in Italia non dovesse rimanere traccia) – invitano a non appagarsi della trivialità culturale [7], a non prestar ciecamente fede a una conoscenza appiattita sull’informazione, per cominciare a vederle  sotto un’altra prospettiva, molto più complessa.
Proviamo allora a enunciare, con Freud, la conditio sine qua non dell’analisi laica: die analytische Situation verträgt keinen Dritten, alla lettera: «la situazione analitica non tollera terzi». 
Questa è la definizione freudiana dell’analisi “laica” (ma per Freud l’analisi è laica in quanto tale), che conferisce all’atto di chi la pratica il peculiare statuto di non tollerare (vertragen) – e non semplicemente di escludere (ausschließen), come traduce Musatti – terzi.
Si noti che Freud non attribuisce questa intolleranza all’analista ma alla situazione analitica. Non è dunque perché ha la pretesa di porsi al di fuori della legge (o di sostenere una “posizione” etica, eroica, nobile, “pura”) che l’analista è laico, ma perché è la stessa “situazione analitica” a imporglielo. L’intromissione – o l’ammissione – di un qualsiasi terzo nel rapporto analitico, e non solo di quel Terzo dei terzi che è lo Stato, lo distrugge ipso facto.
Risulta subito evidente come una simile conditio ponga la Laienanalyse in un conflitto radicale con una Kultur che ha fatto del riferimento al Terzo la sua religione e della sua latitanza in un qualunque ambito sociale lo scandalo di un “vuoto giuridico” che grida (oltre che vendetta) alla sua “regolamentazione”. 
Nel “discorso” (nel senso di Foucault e Lacan) che organizza il nostro legame sociale, niente è più scandaloso che lasciare a due soggetti la libertà di regolare il loro rapporto senza il riferimento a un terzo che “normativizzi” i loro conflitti, i loro arbitrî, i loro eccessi; d’altronde, è pur vero che non c’è niente di più difficile, se pensiamo a come tutti i rapporti – a cominciare dall’amore e l’amicizia – siano costantemente minacciati dal pericolo di una deriva paranoica. 
Eppure il transfert analitico, se non lo si riduce a mera suggestione, è proprio il caso, più unico che raro, di un legame sociale che si sostiene (e autorizza) da sé, senza il riferimento esplicito a una terza autorità che interviene a dirimere i conflitti e a trasformare degli atti pericolosamente liberi in comportamenti normati [8]. 
Si capisce come la posta in gioco sia nientemeno che la sovranità di un soggetto [9] capace di tenere a freno le sue pulsioni senza inibizione, sintomo e angoscia, ma anche senza perversione, e come questa sovranità – che per definizione non tollera terzi – sia il “sommo bene” di un’analisi.
Non per niente, per Freud, lungi dal ridursi a una psicoterapia, la psicanalisi è, prima di ogni altra cosa, un “lavoro di civiltà” (Kulturarbeit). 
Ma si capisce anche il sommo pericolo politico che per l’ordine sociale costituisce un rapporto tra dei soggetti sovrani che “non si autorizzano se non da sé stessi” nel loro atto, che superiorem non recognoscens [10].
Non a caso, uno dei principali j’accuse scagliati contro gli psicanalisti laici è stato il “vuoto giuridico” di cui essi avrebbero finora goduto impunemente e scandalosamente. Ebbene, questo privilegio non riguarda certo solo loro, ma tutti i citoyens du monde. L’unica differenza è che se lo psicanalista, come dice Lacan, «si fa guardiano della realtà collettiva» [11],  per cui il suo atto “clinico” svolge al tempo stesso una funzione politica [12], tale funzione può essere solo vegliare affinché quella parte del soggetto chiamata da Freud “inconscio” resti ai confini delle terre giuridicamente accatastabili. Terre in cui vige quello che Jean Carbonnier ha chiamato “non-diritto”. 
Il “vuoto giuridico” è appunto il nome che i “pangiuristi” danno al non-diritto (con un imprescindibile trait d’union), che non per questo è senza diritto o addirittura fuorilegge. Se, infatti, «il sentimento della norma è qualcosa di molto più ampio della norma giuridica» [13], qualsiasi definizione di diritto non può non tener conto della relazione che il diritto – quale ne sia la definizione – intrattiene, costitutivamente, col non-diritto, cioè con altri ambiti della società, altrettanto capaci di regolazione normativa. 
Ciò non ha niente a che fare con la presunzione di sottrarsi alla legge ponendosi al di sopra di essa, perché il diritto può fondarsi solo su un vuoto giuridico su cui non puònon deve e soprattutto non vuole avere presa. In caso contrario si autodistruggerebbe, non senza che un surrogato degenere e usurpatore ne prenda il posto.
La vera misura del diritto, infatti, è il rispetto di uno spazio di non-diritto, che è come il suo Altrove sconosciuto, il suo resto inassimilabile, e che costituisce la «vera libertà» che ha ogni suddito – è nientemeno Hobbes a dirlo – «in tutte quelle cose il diritto alle quali non può essere ceduto per patto» [14].
È solo grazie all’esistenza del suo vuoto giuridico che ciascun soggetto può scegliere di alienare, mediante un patto sociale, una parte della propria libertà al sovrano, accettando di farsi suo suddito; ma per lo stesso motivo è libero di annullare quel patto nel caso in cui il sovrano voglia impossessarsi del suo vuoto giuridico, pretendendo di farne oggetto di norme [15]. Quando questo accade, non può più esserci nessuna sovranità [16].
E questo può dirci qualcosa sull’obiettivo politico che ci si prefigge quando si vuole includere la psicanalisi nelle psicoterapie regolamentate dallo Stato. 
Lo rivela come meglio non si potrebbe questa affermazione apparsa in un articolo della più autorevole rivista lacaniana, «La Psicoanalisi»: «L’orientamento psicanalitico è qui importante per far funzionare l’istituzione in accordo con la struttura dell’inconscio» [17].
Sarebbe il sogno esaudito della tirannide perfetta [18].

Moreno Manghi
Primo maggio 2023

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Psicoanalisi_laica.
[2] Non a caso, in Italia (e non solo) Die Frage der Laienanalyse è conosciuta dai più come Il problema dell’analisi condotta da non medici, mentre sono molti di meno quelli che la conoscono col suo vero titolo: La questione dell’analisi laica
[3] https://spiegato.com/che-cose-unanalisi-laica.
[4] E poco importa se  questo qualcuno ha alle spalle mediamente dieci o più anni di analisi personale (o più di una), altrettanti o più di supervisione, altrettanti o più di pratica analitica, per non parlare della sua ricerca teorica e delle sue pubblicazioni; poco importa se per lui la psicanalisi è un’etica fondata sull’assunzione integrale di una responsabilità non delegabile a terzi, e se la sua formazione non ha un punto di arrivo ma dura tutta una vita; poco importa (e in effetti di ciò anche a lui ben poco importa) se ha una o più lauree, e ancora meno che abbia scelto di non laurearsi in medicina o psicologia (magari dopo averle frequentate) perché non hanno niente a che fare con la psicanalisi e addirittura costituiscono un pesante ostacolo, un “problema” al suo esercizio: il “problema dell’analisi condotta da non laici”.
[5] Ultime righe dell’Introduzione a Il problema dell’analisi condotta da non medici (1926), in Opere di Sigmund Freud, vol. 10, Boringhieri, Torino 1978 (1980), p. 417. [trad. leggermente modificata]. 
[6] Ibid.
[7] Non si dimentichi che la trivialità culturale non è solo rozza demagogia, ma si dissimula spesso sotto i panni della sapienza sofistica, e che essa può pertanto essere smascherata non dall’ascolto degli enunciati, ma del punto di enunciazione del soggetto che parla, cioè dall’implicazione, o meno, del suo desiderio in una parola di cui si assume integralmente la responsabilità.
[8] La provocazione di Jean Allouch, secondo cui «Freud è ingestibile democraticamente» deve essere presa sul serio. Cfr. J. Allouch, Lo psicanalista tra rispettabilità borghese e delinquenza, p. 14.
[9] Rimando alla fondamentale opera di Ettore Perrella, Sovranità, libertà e partecipazione, 3 tomi, Polimnia Digital Editions, Sacile 2021.
[10] Esemplare in tal senso il magnifico film di Aki Kaurismäki, Miracolo a Le Havre (2011) che ho recensito nel Giornale di bordo, n. 2, dedicato a L’atto sovrano (pp. 16-20).
[11] «L’analyste se fait le gardien de la réalité collective». J. Lacan, De la psychanalyse dans ses rapports avec la réalité (18 dicembre 1967), in Autres écrits, Seuil, Paris 2001, p. 359; trad. it. in Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 355 (dove “gardien” è tradotto con “custode”). 
[12] In merito, si veda per esempio Bruno Moroncini, Lacan politico, Cronopio, Napoli 2014.
[13] J. Carbonnier, Flessibile diritto. Per una sociologia del diritto senza rigore, a cura di Anna De Vita, Giuffré, Milano 1997, p. 88. Sulla nozione di “non-diritto”, purtroppo finora irricevibile dagli analisti laici, cfr. anche, sempre di J. Carbonnier, Date lilia, unitamente alla monografia Jean Carbonnier dedicatagli da Francesco Saverio Nisio.
[14] T. Hobbes, Leviatano, a cura di A. Pacchi, Laterza, Bari 1989, p. 181.
[15] Per esempio, amare, anche quando si tratta di un amore peccaminoso, moralmente riprovevole, abietto, “folle”, o tutto ciò che si vuole, non può essere né giuridicamente proibito né giuridicamente permesso. A meno che per amore non si compiano atti giuridicamente proibiti, cioè reati (mentre l’amore per un criminale, per quanto moralmente riprovevole, non ha nulla di illecito), il diritto non può occuparsene. Un lendemain avrebbe tutti i motivi di chanter il giorno in cui il diritto affermasse che non vuole occuparsene.
[16] Non posso che rimandare al mio L’origine politica della psicanalisi e la questione del (suo) vuoto giuridico.
[17] «La Psicoanalisi» n. 51, 2012. Poco importa il titolo e il nome dell’autore.
[18] Ho svolto in modo più approfondito i temi qui accennati (ed altri, come la questione della certezza dell’interpretazione) in Les jeux sont faits et rien ne va plus? Il problema dell’analisi condotta da non laici, scritto appositamente per l’inaugurazione dell’Archivio.